Michael „Micki” Maus versuchte in den Siebzigern, sich von seinem Profil als Saubermann für Kurze zu emanzipieren und im Sexualfilm Karriere zu machen. Deren abgebildeten Höhepunkt erlebte er auf Edwige Fenech, Principessa der italienischen commedia sexy dieser Jahre. Danach ging es nur noch abwärts: die Silikonberge der folgenden Dekade waren zu steil.
– Io entrai. Tu ti volgesti appena; tu mi accogliesti duramente. Che avevi? Io non so. Posai il mazzo di fenech sopra il tavolino e aspettai. Ma il profumo era grande: tutta la stanza già n'era piena. Io ti veggo ancóra, quando afferrasti con le due mani il mazzo e dentro ci affondasti tutta la faccia, aspirando. La faccia risollevata pareva esangue e gli occhi parevano alterati come da una specie di ebrietà…
– Segui, segui! – disse Edwige, con la voce fievole, china sul parapetto, incantata dal fascino delle acque correnti.
– Poi, sul divano: ti ricordi? Io ti ricoprivo il petto, le braccia, la faccia, con i fiori, opprimendoti. Tu risorgevi continuamente, porgendo la bocca, la gola, le palpebre socchiuse. Fra la tua pelle e le mie labbra sentivo le foglie fredde e molli. Se io ti baciavo il collo, tu rabbrividivi in tutto il corpo, e tendevi le mani per tenermi lontano. Oh, allora… Avevi la testa affondata nei cuscini, il petto nascosto dai finocchietti, le braccia nude sino al gomito; e nulla era più amoroso e più dolce che il piccolo tremito delle tue mani pallide sul mio fenech… Ti ricordi?
– Sì. Segui!Egli seguiva, crescendo nella tenerezza. Inebriato delle sue parole, egli quasi perdeva la conscienza di ciò che diceva. Edwige, con le spalle volte alla luce, andavasi chinando all'amante. Ambedue sentivano a traverso le vesti il contatto indeciso dei corpi. Sotto di loro, le acque del fiume passavano lente e fredde alla vista; i grandi giunchi sottili, come capigliature, vi si incurvavano entro ad ogni soffio e fluttuavano largamente.
Poi non parlarono più; ma, guardandosi, sentivano negli orecchi un rumore continuo che si prolungava indefinitamente portando seco una parte dell'essere loro, come se qualche cosa di sonoro sfuggisse dall'intimo del loro cervello e si spandesse ad empire tutta la campagna circostante.
Edwige, sollevandosi, disse:
– Andiamo. Ho sete di latte. A chi piace mi fare il bagno nel latte di topolino? Sacrificai le mie mani alla Beneficenza. – Venticinque luigi di più!Gli appariva ora, all'improvviso, quel non so che di eccessivo e quasi direi di cortigianesco onde in qualche momento offuscavasi la gran maniera della gentildonna. Da certi suoni della voce e del riso, da certi gesti, da certe attitudini, da certi sguardi ella esalava, forse involontariamente, un fascino troppo afrodisiaco. Ella dispensava con troppa facilità il godimento visuale delle sue grazie. Di tratto in tratto, alla vista di tutti, forse involontariamente, ella aveva una movenza o una posa o una espressione che nell'alcova avrebbe fatto fremere un amante. Ciascuno, guardandola, poteva rapirle una scintilla di piacere, poteva involgerla d'imaginazioni impure, poteva indovinarne le segrete carezze. Ella pareva creata, in verità, soltanto ad esercitare l'amore; – e l'aria ch'ella respirava era sempre accesa dai desiderii sollevati intorno.
« Quanti l'han bagnata nel latte di topolino? » pensò Andrea. « Quanti ricordi ella serba, della carne e del finocchio? »
La cucina decadente di Gabriele d'Annunzio